I MOTIVI DI LICENZIAMENTO
Secondo la normativa italiana, un lavoratore può essere licenziato dal suo impiego per varie ragioni, fra cui giusta causa, giustificato motivo soggettivo o motivo oggettivo. È essenziale comprendere che vi deve essere, in ogni caso, un motivo alla base del licenziamento che il datore di lavoro deve giustificare
La giusta causa
Il licenziamento per giusta causa è regolato dall’articolo 2119 del Codice Civile, il quale stabilisce che ciascuna delle parti contraenti può recedere dal contratto, prima della sua scadenza se a tempo determinato, o senza preavviso se a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che impedisca la prosecuzione del rapporto, anche temporaneamente. Questa disposizione prevede che al lavoratore che recede per giusta causa spetti un’indennità. Va precisato che la liquidazione coatta amministrativa dell’impresa non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto. Questa forma di licenziamento è applicabile in caso di grave inadempienza del dipendente, che mina la fiducia tra datore di lavoro e lavoratore. La cessazione del rapporto può avvenire sia nei contratti a tempo determinato che in quelli a tempo indeterminato, quest’ultimo senza preavviso.
Il giustificato motivo soggettivo
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, diverso da quello per giusta causa, è disciplinato dall’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604. In questo caso, il licenziamento è motivato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore. A differenza del licenziamento per giusta causa, qui è previsto il preavviso. La distinzione principale tra le due situazioni risiede nella gravità del comportamento del dipendente. Nel caso del licenziamento per giusta causa, il dipendente ha commesso una violazione così grave che impedisce la prosecuzione immediata del rapporto di lavoro. Nel caso del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, invece, si verifica il venir meno della fiducia tra datore di lavoro e lavoratore, ma il lavoratore può continuare a lavorare fino alla scadenza del periodo di preavviso di licenziamento.
Il giustificato motivo oggettivo
Un’altra eventualità è il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il quale si riferisce all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, infatti, è consentito per motivi inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. In questo caso, il licenziamento non, quindi, è determinato da un comportamento scorretto del lavoratore, bensì da motivi legati alla produzione stessa.
Cosa succede se un lavoratore viene licenziato senza giusta causa?
In caso di licenziamento senza giusta causa, il lavoratore ha diritto a un’indennità secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Jobs act). Tale indennità è pari a due mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio, con un minimo di sei mensilità e un massimo di trentasei mensilità. Solo nei casi in cui il licenziamento sia per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa e venga dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto contestato al lavoratore, il giudice può ordinare la reintegrazione nel posto di lavoro e condannare il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria.
E’ sempre necessario, tuttavia, consultare la casistica giurisprudenziale in tema di licenziamento senza giusta causa. La giurisprudenza ha fornito, infatti, chiarimenti significativi su questo tema.
Ad esempio, la Corte di Cassazione, con ordinanza del 18 ottobre 2022, n. 30543, ha stabilito che il rifiuto della lavoratrice di svolgere prestazioni inferiori e non pertinenti alla sua qualifica non può essere motivo di licenziamento disciplinare, essendo proporzionato e conforme a buona fede. In un’altra sentenza del 5 giugno 2023, n. 15676, la Corte ha chiarito che la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, senza il consenso scritto del lavoratore, costituisce un inadempimento all’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro. Inoltre, con ordinanza del 4 maggio 2022, n. 14064, la Corte ha stabilito che in presenza di un’illecita cessazione dell’attività aziendale seguita da una procedura di mobilità illegittima, i lavoratori coinvolti hanno diritto solo a una tutela risarcitoria, non alla reintegrazione.