Ramadan: diritti e obblighi per il lavoratore e il datore di lavoro
Ramadan: é necessario tenere conto di questa pratica religiosa a livello aziendale? Ecco una panoramica dei principi da rispettare.
In generale, il datore di lavoro deve rispettare le opinioni e le credenze religiose dei propri dipendenti. Può limitare questa libertà solo se è giustificata dalla natura della mansione da svolgere e proporzionata all’obiettivo perseguito.
Questo diritto è garantito dall’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo cui ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, ma anche dall’articolo 10 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che afferma che “nessuno può essere turbato a causa delle sue opinioni, anche religiose, purché la loro manifestazione non turbi l’ordine stabilito dalla legge”.
La normativa e la giurisprudenza francese in materia di Ramadan
Da parte sua, l’articolo L 1121-1 del Codice del lavoro stabilisce che “nessuno può imporre restrizioni ai diritti delle persone e alle libertà individuali e collettive che non siano giustificate dalla natura dell’incarico da svolgere o che non siano proporzionate all’obiettivo perseguito”. Inoltre, la distinzione tra i dipendenti sulla base delle loro convinzioni religiose costituisce una discriminazione vietata (C. trav. art. L 1132-1). Infatti, questo articolo prevede che i dipendenti non possano essere discriminati sulla base della loro religione. In caso contrario, il datore di lavoro è passibile di sanzioni penali: tre anni di reclusione e 45.000 euro di multa (C. pén. art. 225-1 e 225-2).
Tuttavia, il dipendente non può pretendere un trattamento speciale a causa delle sue convinzioni, a meno che non vi sia una clausola contrattuale o una prassi in tal senso (Cass. soc. 24-3-1998 n° 95-44.738 PB).
In pratica, le questioni relative alla pratica del Ramadan nelle aziende non sembrano causare molti conflitti.
Sembra che nelle aziende la questione sia gestita il più delle volte in modo pragmatico e sereno (Délib. Halde 2011-67 del 28-3-2011).
È quanto emerge anche dall’ultimo barometro del fatto religioso nelle aziende 2020-2021. Sebbene la presenza di fatti e comportamenti religiosi sia individuata in più di due terzi delle aziende francesi (il più delle volte sotto forma di richieste di assenze o di modifiche agli orari), “nella maggior parte delle situazioni, i fatti religiosi non hanno effetti negativi o li hanno raramente” (Institut Montaigne, studio maggio 2021 p. 52 s.).
L’industria rappresenta una percentuale significativa di situazioni caratterizzate da eventi religiosi, seguita da trasporti e logistica, edilizia e lavori pubblici, nonché commercio e vendita al dettaglio.
Il comportamento dei dipendenti religiosi è percepito come poco disturbante e non ostacola il corretto svolgimento del lavoro (70,1%) (Institut Montaigne, studio, maggio 2021 p. 22) e nel 58% delle situazioni le disfunzioni legate alla religione sono minori (Institut Montaigne, studio, maggio 2021 p. 53).
La linea d’azione che il datore di lavoro deve seguire di fronte alle problematiche legate al Ramadan deve quindi basarsi sulla conciliazione di diversi principi:
- la libertà fondamentale di religione (libertà di credere e di praticare), alla quale devono essere applicate solo restrizioni giustificate e proporzionate
- il potere di direzione e organizzazione del datore di lavoro;
- la necessità di soddisfare qualsiasi richiesta del dipendente senza tenere conto del motivo religioso, al fine di evitare qualsiasi sanzione discriminatoria;
- il rispetto degli obblighi contrattuali del dipendente e degli accordi o pratiche collettive esistenti;
- l’obbligo del datore di lavoro in termini di salute e sicurezza.
Passiamo in rassegna le questioni che possono sorgere in questo periodo.
Orario di lavoro e Ramadan
- Il dipendente può chiedere un adeguamento dell’orario di lavoro durante il Ramadan?
In linea di principio, no. Il datore di lavoro non è tenuto ad adeguare le condizioni di lavoro dei dipendenti che praticano il Ramadan perché l’organizzazione dell’orario di lavoro è di competenza della direzione del datore di lavoro, che definisce gli orari corrispondenti al corretto funzionamento dell’azienda (Guida pratica Min. trav. févr. 2018 n° 32).
Il lavoratore interessato deve quindi, in linea di principio, eseguire il suo contratto di lavoro senza modifiche e non può invocare la sua religione per ottenere una modifica dell’orario di lavoro.
Tuttavia, è consigliabile fare riferimento alle clausole del contratto che possono aver previsto tale possibilità. Anche alcuni contratti collettivi prevedono delle disposizioni.
Tuttavia, il rifiuto del datore di lavoro non deve basarsi sulle convinzioni religiose del dipendente, ma sui disagi che potrebbe causare all’azienda.
In ogni caso, il datore di lavoro e il dipendente possono concordare un accordo temporaneo sull’orario di lavoro.
- Un dipendente può iniziare prima il lavoro e terminare prima la giornata omettendo la pausa pranzo?
In linea di principio, il dipendente non può modificare il proprio orario di lavoro senza l’accordo del datore di lavoro. Tuttavia, in alcuni settori, ad esempio nell’edilizia, può essere consuetudine eliminare la pausa pranzo e lavorare una giornata intera.
Questo è stato il caso di un dipendente del settore edile che è stato sanzionato dal suo datore di lavoro con un avvertimento per aver lasciato il lavoro in anticipo. La Corte d’Appello ha accettato la pratica di lavorare senza pausa durante il periodo del Ramadan, praticata dal datore di lavoro, come motivo che poteva giustificare l’uscita anticipata del dipendente dalla sua postazione di lavoro (CA Aix-en-Provence 24-11-2017 n° 15/20885).
Congedi, autorizzazioni di assenza e Ramadan
- Un dipendente può chiedere un permesso retribuito perché sta praticando il Ramadan?
Il dipendente non è tenuto a giustificare il motivo religioso della sua richiesta di congedo. Se lo fa, il datore di lavoro non è obbligato a concedergli il permesso (Guida pratica Min. trav. Feb. 2018 n° 28). Tuttavia, il datore di lavoro non può rifiutare un congedo retribuito a un dipendente per motivi religiosi. La sua risposta deve quindi basarsi su ragioni oggettive e non discriminatorie. Deve prendere la sua decisione alla luce dell’organizzazione del lavoro e delle esigenze del servizio e trattare la richiesta di congedo come qualsiasi altra richiesta.
- Un dipendente può prendere permessi per motivi religiosi durante il Ramadan?
Sì, a condizione di ottenere l’autorizzazione preventiva del datore di lavoro. Il dipendente che si assenta senza autorizzazione, qualunque sia il motivo, commette una colpa (Guida pratica Min. trav. Feb. 2018 n° 10). Tuttavia, la sanzione adottata dal datore di lavoro deve essere proporzionata al contesto e tenere conto di diversi criteri: l’impatto sugli altri dipendenti, sugli eventuali clienti; il carattere eccezionale o ripetuto di queste assenze. Nella sua decisione del 29 luglio 2014, il Difensore dei diritti umani raccomanda ai datori di lavoro di vietare qualsiasi divieto generale di assenze per motivi religiosi e di valutare invece, in modo concreto, se una richiesta di permesso di assentarsi sia compatibile o meno con le esigenze del servizio (Dec. Difensore dei diritti umani MLD 2014-061 del 29-7-2014, riguardante un agente territoriale, ma questa valutazione caso per caso ci sembra trasponibile al settore privato).
È del tutto possibile per un dipendente negoziare una clausola nel proprio contratto di lavoro che specifichi che può assentarsi in occasione di determinate festività religiose. Può anche fare riferimento a una consuetudine o a un contratto collettivo che preveda tali possibilità (sulla possibilità di licenziare il dipendente in questi casi, si veda sotto).
- Il datore di lavoro deve concedere al dipendente il diritto di sostituire i giorni di non lavoro previsti dall’azienda con festività corrispondenti al periodo del Ramadan?
Se l’azienda è chiusa, ad esempio, nel periodo tra Natale e Capodanno e il dipendente desidera posticipare le date di chiusura al periodo del Ramadan, il datore di lavoro non è tenuto a concedergli questo diritto.
Può invitarlo a prendere un permesso retribuito o un giorno di RTT o, se necessario, concedergli un congedo eccezionale per una festività religiosa (Guida pratica Min. trav. feb. 2018 n° 29).
Tuttavia, il datore di lavoro non deve fare alcuna distinzione tra i dipendenti in base alla loro religione, o rischia di essere sanzionato per discriminazione.
- Un datore di lavoro che ha concesso un congedo per un obbligo religioso deve accogliere la richiesta di un altro dipendente per lo stesso motivo?
Il congedo concesso a un dipendente da un datore di lavoro non deve mai essere concesso per motivi religiosi, anche se il dipendente invoca questo motivo. Una decisione favorevole del datore di lavoro deve essere giustificata dal buon funzionamento dell’azienda. Occorre quindi fare attenzione a non lasciare alcuna ambiguità.
Il semplice fatto che al dipendente che ha invocato un motivo religioso sia stato concesso il congedo non obbliga il datore di lavoro ad accogliere la nuova richiesta (Guida pratica Min. trav. févr. 2018 n° 31).
In caso di richieste simultanee che non potrebbero essere soddisfatte tutte contemporaneamente, il datore di lavoro dovrebbe, a nostro avviso, applicare i criteri per l’ordine di uscita dal congedo in conformità con l’articolo L 3141-16 del Codice del lavoro, secondo i criteri definiti da un accordo o, in mancanza, dal Codice del lavoro (anzianità, situazione familiare, ecc.).
Cibo, pasti e Ramadan
- Il dipendente può rifiutarsi di partecipare a un pasto aziendale durante il Ramadan?
Se la partecipazione a un pasto aziendale è parte integrante della funzione del dipendente, come può essere il caso dei venditori, non sembra possibile per il dipendente rifiutarsi di partecipare (Guida pratica Min. trav. feb. 2018 n° 11).
D’altra parte, sebbene la sua presenza possa essere obbligatoria, non è obbligato a consumare effettivamente il pasto. In ogni caso, può essere utile parlare con il datore di lavoro per cercare di raggiungere un compromesso. E “per evitare una situazione di disagio per tutti”, il datore di lavoro che organizza il pasto è invitato a verificare preventivamente eventuali vincoli alimentari dei presenti (clienti e dipendenti) (Guida pratica Min. trav. feb. 2018 n. 11).
In ogni caso, il rifiuto del dipendente può essere sanzionato per inadempimento degli obblighi contrattuali, con conseguente risoluzione del contratto di lavoro.
- Il dipendente può ottenere l’indennità di pasto durante il periodo del Ramadan?
Molti contratti collettivi prevedono indennità forfettarie per i dipendenti che sostengono spese, in particolare per i pasti, nel corso del loro lavoro.
In linea di principio, il dipendente non deve giustificare le spese effettivamente sostenute per ottenere il pagamento (Cass. soc. 19-5-1988 n° 87-41.602 P). Un dipendente che pratica il Ramadan potrebbe quindi continuare a ricevere questa indennità.
Tuttavia, è necessario fare riferimento al contratto collettivo applicabile. Infatti, è stato stabilito che quando il contratto collettivo prevede che non sia dovuta alcuna indennità per il pasto da parte del datore di lavoro che lo fornisce gratuitamente, i dipendenti che si sono volontariamente astenuti dal mangiare non possono richiedere tale indennità, anche durante il periodo del Ramadan (Cass. soc. 24-4-1990 n° 87-43.248 D; Cass. soc. 5-6-1986 n° 83-43.454 P; Cass. soc. 16-2-1994 n° 90-46.077 P). Lo stesso vale se il datore di lavoro rimborsa il conto del ristorante dei lavoratori quando sono fuori sede. Un lavoratore che si rifiuta di mangiare in un ristorante per rispettare le regole alimentari imposte dalla sua religione non può richiedere un’indennità di pasto (Cass. soc. 30-1-2002 n° 00-40.805 F-D).
- Il dipendente può rifiutarsi di lavorare in un luogo dove vengono serviti i pasti?
Il datore di lavoro può sanzionare il dipendente che si rifiuta di svolgere una delle mansioni per cui è stato assunto. Se un dipendente che lavora, ad esempio, in una mensa aziendale si rifiuta di servire i pasti o di cucinare le pietanze, commette una mancanza che può comportare una sanzione disciplinare (Guida pratica Min. trav. feb. 2018 n. 8). La giurisprudenza ha anche ritenuto che il datore di lavoro potesse legittimamente rifiutare di trasferire ad altro reparto un dipendente, assunto come macellaio, che si rifiutava di stare a contatto con la carne di maiale a causa delle sue convinzioni religiose (Cass. soc. 24-3-1998 n° 95-44.738 PB).
Tuttavia, durante il periodo limitato del Ramadan, il datore di lavoro può verificare se è possibile assegnare temporaneamente il dipendente a un’altra funzione (lavare i piatti, ad esempio, nel caso citato).
- Il datore di lavoro può obbligare il dipendente a rompere il digiuno durante il Ramadan se ritiene che ciò sia un ostacolo all’esecuzione del contratto di lavoro?
Il datore di lavoro non può obbligare il dipendente a interrompere il Ramadan perché tale ingiunzione costituirebbe una restrizione alla libertà di religione del dipendente, che è una libertà fondamentale (Guida pratica Min. trav. feb. 2018 n° 13).
Il datore di lavoro può organizzare un momento di condivisione in occasione dell’Eid-El-Kebir?
Secondo il Ministero del Lavoro, nulla lo vieta, ma questo “evento non deve escludere alcuni dipendenti. Tutti devono essere invitati e tutti devono poter partecipare se lo desiderano, senza discriminazioni” (Guida pratica Min. trav. feb. 2018 n° 22).
Obbligo di sicurezza del datore di lavoro e Ramadan
- Il datore di lavoro può imporre ai propri dipendenti attività “faticose” durante il Ramadan?
I datori di lavoro hanno l’obbligo di garantire la sicurezza dei propri dipendenti in termini di salute e igiene. Se la pratica del Ramadan può avere conseguenze sulla salute del dipendente, in particolare in termini di affaticamento, e se il dipendente è anche assegnato a compiti faticosi o rischiosi (lavoro al caldo, lavori pericolosi, ecc.), può essere nell’interesse del datore di lavoro prevedere delle soluzioni: cambio temporaneo di posizione, modifiche dell’orario di lavoro. Sia il dipendente che il datore di lavoro possono consultare il medico del lavoro.
Per prendere una decisione, il datore di lavoro deve tenere conto della natura della posizione ricoperta e dell’orario di lavoro. La situazione di un gruista e quella di un funzionario amministrativo non sono valutate allo stesso modo (Guida pratica Min. trav. feb. 2018 n. 13). Il datore di lavoro deve anche valutare le conseguenze del digiuno, se mette o meno a rischio la sicurezza del dipendente stesso, ma anche quella dei suoi colleghi o di terzi interessati.
Il datore di lavoro ha diverse opzioni:
- può procedere a un cambio temporaneo di incarico senza che ciò costituisca una sanzione disciplinare (Cass. ass. plen. 6-1-2012 n° 10-14.688 PBRI) ;
- può allontanare il dipendente dalla sua postazione di lavoro se ciò è necessario per motivi di precauzione e tutela della salute, qualora non sia possibile assegnarlo altrove. Durante il periodo non lavorato, non è tenuto a mantenere la retribuzione del dipendente (Guida pratica Min. trav. feb. 2018 n. 13);
- può organizzare l’orario di lavoro del dipendente se ciò è compatibile con l’organizzazione del lavoro e il buon funzionamento dell’azienda (Guida pratica Min. trav. févr. 2018 n° 13).
Tutte queste soluzioni devono essere discusse con il medico del lavoro e, se necessario, in caso di più persone interessate, sottoposte ai rappresentanti del personale.
- Il datore di lavoro può essere esonerato dalla sua colpa in caso di infortunio sul lavoro?
Il datore di lavoro ha il dovere di prevenire gli infortuni sul lavoro che possono essere legati alla pratica del Ramadan: disidratazione, malessere sul posto di lavoro …. Tuttavia, non è sempre facile per il datore di lavoro stabilire se il dipendente pratichi o meno il Ramadan, poiché non può chiederglielo.
Per questo motivo, quando si verificano incidenti sul lavoro, il datore di lavoro può essere tentato di esonerarsi dalla responsabilità invocando lo stato di debolezza della vittima, dovuta al digiuno durante il Ramadan. È il caso di un dipendente che, durante l’orario di lavoro, è caduto mentre camminava sulle scale dell’azienda e si è ferito alla schiena. Tuttavia, la Corte d’appello ha respinto l’argomentazione, stabilendo che “l’attribuzione del disagio al digiuno del Ramadan è tutt’altro che pertinente, dal momento che l’incidente è avvenuto alle 8.30 del mattino e il digiuno è praticato dai musulmani solo durante il periodo diurno, che era appena iniziato meno di due ore prima” (CA Nancy 20-7-2007 n. 06/00375).
Analogamente, la Corte d’appello ha respinto l’argomentazione del datore di lavoro secondo cui il dipendente era stanco a causa del digiuno osservato durante il Ramadan. Il dipendente era stato vittima di un incidente sul lavoro, mentre accompagnava il movimento di un compressore sospeso con un cavo alla benna di una ruspa guidata da un collega, e la sua gamba era rimasta impigliata nella ruota della macchina. Per i giudici della Corte, il datore di lavoro era necessariamente consapevole del pericolo per il dipendente, in quanto l’uso di questa attrezzatura non era appropriato in questa situazione (CA Nîmes 4-4-2002 n° 00/03232).
Licenziamento e Ramadan
Un dipendente può essere licenziato per assenza non autorizzata durante il Ramadan?
L’assenza non autorizzata può, se del caso, portare al licenziamento (vedi sopra), ma la giurisprudenza valuta i fatti in base alle circostanze di ciascun caso.
Ad esempio, il licenziamento è stato riconosciuto come giustificato, ma senza riconoscere la colpa grave, nel caso di :
- un’impiegata di religione musulmana che non si è presentata al lavoro il giorno della festività dell’Eid el-Kebir, nonostante il rifiuto del datore di lavoro di consentirle di farlo (Cass. soc. 16-12-1981 n° 79-41.300 P). In questo caso, la persona che sosteneva di aver avvisato con 8 giorni di anticipo della sua intenzione di assentarsi era solo la moglie del suo caporeparto e il datore di lavoro sosteneva di essere stato informato solo il giorno prima, tramite voci di corridoio; inoltre, l’assenza della persona interessata aveva impedito una consegna importante in quel giorno. Tuttavia, alla luce delle circostanze (assenza non autorizzata di un solo giorno) non è stata considerata una colpa grave;
- un dipendente che ha lasciato il lavoro il venerdì sera prima dell’orario normale per rispettare un obbligo inderogabile imposto dalla pratica della sua religione, anche se aveva rifiutato l’adattamento dell’orario proposto dal datore di lavoro che gli avrebbe permesso di essere libero nel pomeriggio (CA Paris 10-1-1989);
- un dipendente assente senza autorizzazione per prepararsi al Ramadan (CA Besançon 6-1-1995 n° 4/95).
Utilizzo di contratti a tempo determinato
Un datore di lavoro può ricorrere a uno o più contratti a tempo determinato durante il Ramadan?
Il datore di lavoro può assumere con un contratto a tempo determinato per sostituire i dipendenti che sarebbero assenti per praticare il Ramadan, o se questo periodo causa un aumento temporaneo dell’attività nella sua azienda. Tuttavia, deve essere in grado di giustificare tale aumento di attività durante questo periodo (in questo senso: CA Aix en Provence 25-9-2020 n° 18/03199).
Avv. Aurora Visentin
Avvocato italiano e francese con studio a Parigi
Specializzata in diritto del lavoro