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Covid-19: la CNIL completa la sua scheda sull’utilizzo dei dati sanitari personali dei dipendenti

Secondo la CNIL, il datore di lavoro non è autorizzato a valutare sistematicamente il livello di rischio individuale di esposizione dei suoi dipendenti alla Covid-19, a stabilire condizioni di lavoro individualizzate senza il supporto della medicina del lavoro, o a predisporre un sistema che rappresenti la vulnerabilità o il rischio di esposizione dei suoi dipendenti al virus.

Il 23 settembre 2020 la CNIL ha aggiornato la sua scheda informativa sulla raccolta di dati personali da parte dei datori di lavoro nel contesto della crisi sanitaria legata alla Covid-19.

In questo documento,  la CNIL ha risposto alle principali domande delle aziende, da un lato, sulle misure da attuare per limitare la diffusione del virus e garantire la ripresa sicura dell’attività e, dall’altro, sulle condizioni in cui i dati personali, in particolare quelli sanitari, potrebbero essere utilizzati.

La CNIL ha in particolare integrato da un capitolo sulla riorganizzazione del lavoro, in particolare attraverso soluzioni software sviluppate nelle aziende con l’obiettivo di limitare la diffusione del virus e di proteggere la salute degli individui.

Secondo la CNIL il datore di lavoro deve adottare misure collettive

La CNIL ricorda che il datore di lavoro deve garantire la salute e la sicurezza dei suoi dipendenti sviluppando misure preventive.
A questo proposito, è responsabilità esclusiva del datore di lavoro adottare misure di protezione collettiva (ad esempio, promemoria di misure di barriera e di distanziamento sociale, fornitura di dispositivi di protezione individuale, soluzione idroalcolica, ecc.
Non è quindi possibile per il datore di lavoro, ricorda la CNIL, stabilire una diagnosi, un’analisi della vulnerabilità o qualsiasi altra analisi medica.

La CNIL specifica che il datore di lavoro non deve organizzare la raccolta di dati sanitari per tutti i dipendenti.

Secondo la CNIL, il datore di lavoro non è autorizzato ad adottare misure individuali nei confronti di uno dei suoi dipendenti, tranne nel caso di una segnalazione fatta dal dipendente stesso quando quest’ultimo è stato esposto o ha esposto alcuni dei suoi colleghi al virus. In questa situazione, il datore di lavoro deve definire una misura individuale (ad es. telelavoro) per un breve periodo di tempo, il tempo in cui il dipendente interessato deve contattare un operatore sanitario, che è l’unico in grado di agire e di prescrivere o rinnovare un’interruzione del lavoro.
Di conseguenza, il datore di lavoro non deve sistematizzare da solo la valutazione del livello di rischio individuale di esposizione al virus per ciascuno dei suoi dipendenti.
Solo il servizio di medicina del lavoro può offrire condizioni di lavoro personalizzate.

La Cnil vieta la redazione di documenti che rappresentino l’esposizione al rischio 

Qualsiasi sistema che rappresenti la vulnerabilità o il rischio di esposizione di un dipendente alla Covid-19 (esempi: indicatore numerico, QR codificato a colori, ecc.) è un dato sanitario personale : solo il servizio sanitario del lavoro può raccogliere o accedere a tali dati.
Spetta infatti al medico del lavoro proporre misure individuali di adattamento, adeguamento o trasformazione del posto di lavoro o dell’orario di lavoro, giustificate da considerazioni relative in particolare all’età o allo stato di salute fisica o mentale del lavoratore (C. trav., art. L. 4624-3). Solo la natura delle misure raccomandate è destinata ad essere trasmessa al datore di lavoro che dovrà applicarle.

Avvocato Aurora Visentin

Avvocato italiano in Francia specializzata in diritto del lavoro. Svolgo la mia attività a Parigi e a Milano. Attraverso il mio studio legale italo-francese assisto le società italiane che hanno interessi commerciali in Francia e le società Francesi che operano nel mercato italiano.

Avvocato Aurora Visentin